Domani, sabato 28 giugno, si terranno due Pride simbolici, geograficamente distanti ma politicamente vicini: quello di Bologna e quello di Budapest. In Italia, come in Ungheria, la comunità LGBTQIA+ continua a rivendicare i propri diritti in un contesto sempre più ostile, tra leggi restrittive, retoriche reazionarie e crescente marginalizzazione.
Se in Ungheria il presidente Orbán ha ufficialmente vietato il Budapest Pride, tentando di criminalizzare la visibilità LGBTQIA+, in Italia il governo agisce per linee più sottili ma non meno pericolose. Le persone trans*, in particolare, sono bersaglio costante di politiche che tendono a limitarne l’autodeterminazione, il riconoscimento e l’accesso alla salute.
Il caso emblematico è quello del reparto di neuropsichiatria infantile dell’ospedale Careggi di Firenze, messo sotto pressione istituzionale e mediatica per l’uso dei bloccanti della pubertà in giovani transgender. Da allora, si è attivata una macchina politica che mira a riscrivere i protocolli di affermazione di genere: si parla di registri nazionali, obblighi di visite psichiatriche multiple e nuovi ostacoli burocratici, senza alcun coinvolgimento delle associazioni trans o della comunità scientifica.
In parallelo, proposte di legge in linea con l’agenda di gruppi conservatori come ProVita cercano di colpire l’educazione alle differenze nelle scuole e le carriere alias nelle università, mentre figure notoriamente trans-escludenti vengono nominate in ruoli istituzionali delicati, come l’attuale Garante dell’infanzia.
Tutto questo si inserisce in un quadro europeo complesso. In Polonia, le “zone libere da LGBT” esistono ancora nonostante le condanne internazionali. In Gran Bretagna, il dibattito sulle “identità di genere” è stato usato strumentalmente per costruire consenso politico. In Italia, l’assenza di leggi efficaci contro l’omolesbobitransfobia si somma al progressivo smantellamento di molte delle tutele simboliche conquistate nel tempo.
Il Pride, oggi, non può che essere una risposta politica a questi processi. Non un evento celebrativo, ma un’occasione per rivendicare diritti, riconoscimento e spazi. A Bologna, il Rivolta Pride di domani sarà un momento di visibilità collettiva e conflitto politico, che richiama le radici storiche di questa giornata: i moti di Stonewall, guidati da persone trans razzializzate e sex worker, spesso cancellate dalla narrazione ufficiale.

In un’Europa che da un lato si dichiara progressista e inclusiva, ma dall’altro restringe gli spazi di autodeterminazione e rafforza le politiche securitarie e identitarie, scendere in piazza rimane un atto necessario. Non solo per chiedere, ma per esserci. Perché finché ci sarà chi prova a censurare l’esistenza LGBTQIA+, ci sarà anche chi continuerà a renderla visibile, rumorosa e collettiva.