Cosa rivela il ‘Ventotene gate’ su Meloni e l’Europa

13 Apr , 2025 - Attualità

Cosa rivela il ‘Ventotene gate’ su Meloni e l’Europa

Credo che tutti abbiamo visto il video di Giorgia Meloni che “attacca” il Manifesto di Ventotene durante il suo intervento alla Camera dello scorso 19 marzo, tenuto in vista del Consiglio Europeo che si sarebbe aperto il giorno successivo a Bruxelles.

Proprio nella giornata del 19 marzo la Camera doveva esprimersi sulla risoluzione contenente l’orientamento del governo circa i temi all’ordine del giorno del Consiglio Europeo, il cui fulcro erano la questione del sostegno all’Ucraina e il piano di riarmo.

Un po’ di contesto

Per capire il senso dei riferimenti al Manifesto di Ventotene nel discorso di replica di Giorgia Meloni, dobbiamo tenere conto che solo qualche giorno prima a Roma c’era stata la manifestazione per l’Europa, lanciata dal giornalista Michele Serra e sostenuta da Repubblica, alla quale hanno partecipato, secondo gli organizzatori, oltre 50mila persone.

Dal palco della manifestazione in molti hanno citato il Manifesto di Ventotene, e il bersaglio della critica della Presidente del Consiglio erano proprio coloro che avevano rivendicato il documento come uno dei pilastri del processo di integrazione europea e dello spirito dell’UE. 

Meloni ha quindi letto (anche se, a dire il vero, non sempre attenendosi alla lettera del testo) alcuni passi potenzialmente “controversi” del Manifesto di Ventotene: “la rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista”; “la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente”; “nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non devono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente”. Infine ha concluso, causando lo sdegno dei deputati dell’opposizione – al punto che il Presidente della Camera ha dovuto sospendere la seduta – “non so se questa è la vostra Europa, ma certamente non è la mia”.

A seguito delle risposte indignate dell’opposizione, la premier ci ha tenuto a ribadire in un’intervista (che in seguito ha rilanciato sul suo profilo Instagram personale) che rivendica il suo disaccordo con l’idea di Europa affermata nel testo di Rossi e Spinelli. Rispetto all’intervento in aula, dove sembrava che volesse porre l’accento sulla natura socialista del programma di Ventotene, qui si è concentrata maggiormente sulla concezione del popolo che secondo lei emerge, per cui “il popolo fondamentalmente non è in grado di autodeterminarsi, e quindi va educato e non ascoltato”. Un’idea, questa, che a detta sua sarebbe “purtroppo abbastanza strutturata nella sinistra anche di oggi”. 

Queste affermazioni non sorprendono affatto, considerando che Giorgia Meloni si inserisce in una tradizione populista che ha il suo perno proprio nel riferimento al popolo come cuore della democrazia; un popolo che deve essere ascoltato e assecondato, compito nel quale falliscono, secondo questa prospettiva, i leader della sinistra.

Potremmo dire molto di più sulla retorica populista di Giorgia Meloni, così come sui numerosi e aggressivi post pubblicati, nei giorni a seguire, sulle pagine ufficiali di Fratelli d’Italia, con affermazioni del tenore di “Hanno gettato la maschera con arroganza. Adesso sappiamo chi abbiamo davanti: degli estremisti rossi”.

In realtà, trovo che questa vicenda possa essere letta su molti piani diversi. Da un lato, chiedendoci il motivo di questo attacco, tanto deciso quanto inaspettato, che ha portato anche gli alleati di Forza Italia a storcere il naso. Dall’altro, provando a capire che cosa ha da dirci il gate del Manifesto di Ventotene sulla concezione che Giorgia Meloni ha dell’Europa. 

L’uso strategico del Manifesto di Ventotene

Per cominciare bisogna dire, anche se può sembrare scontato, che la formazione politica e gli orientamenti di Giorgia Meloni la portano, per forza di cose, ad avere una visione dell’Unione Europea che è realmente molto diversa da quella degli autori del Manifesto di Ventotene. Ma è indubbio, come è stato spesso fatto notare nelle scorse settimane, che nel suo discorso la Presidente abbia voluto fare un uso strumentale di alcune affermazioni del testo, estrapolandole dal contesto per fare emergere una certa idea del programma di Ventotene che non risponde certamente alla realtà. 

Molti giornalisti e opinionisti hanno interpretato questo gesto come una mossa strategica, volta a distogliere l’attenzione, nella discussione politica e nel dibattito pubblico, dai veri problemi inerenti agli equilibri interni alla maggioranza di governo, da un lato, e alla posizione della premier in politica estera, dall’altro. 

Questo appare ancora più ovvio se consideriamo che, in un tweet del 2016 (quando FDI era ancora un piccolo partito dell’opposizione), Giorgia Meloni aveva già fatto riferimento allo stesso documento, ma in senso opposto:

Anche in questo tweet, comunque, non si può dire che venga resa giustizia agli autori del Manifesto. Quando scrissero il programma di Ventotene, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi non erano semplicemente in prigione, ma si trovavano al confino (per l’appunto, nell’isola di Ventotene) perché oppositori del regime fascista. Sull’isola si trovavano, al tempo, diversi antifascisti al confino, alcuni dei quali contribuirono alla stesura del testo. Tra questi, quello che ha dato il contributo più significativo è il socialista Eugenio Colorni, che curò l’introduzione del Manifesto e riuscì a farne stampare clandestinamente le prime copie nel 1944 a Roma, poco prima di essere assassinato da una pattuglia fascista.

I passi che Giorgia Meloni ha letto in parlamento avevano la chiara funzione di far passare Spinelli e Rossi come dei pericolosi comunisti antidemocratici. Ma la realtà è un’altra, ed è ben più complessa.

Socialismo e democrazia nel programma di Ventotene

Ma chi erano gli autori del Manifesto? Spinelli, a dirla tutta, era stato un membro del Partito Comunista, ma era stato espulso per aver criticato il Terrore di Stalin. Rossi era un militante del movimento Giustizia e Libertà, fondato da Carlo Rosselli, teorico del cosiddetto “socialismo liberale”.

Che nel Manifesto di Ventotene ci sia qualcosa di socialista non ci sono dubbi. È presente, come emerge da uno dei passi citati da Meloni, un riferimento alla rivoluzione socialista. L’idea di Spinelli e Rossi, in estrema sintesi, era che la fondazione della nuova Europa dovesse passare attraverso un rivolgimento di carattere rivoluzionario, visto come necessario per abbattere le dittature che avevano portato allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale (ricordiamoci che scrivevano dal confino comminato dai fascisti, nel pieno del conflitto e quando buona parte del continente era ancora sotto il dominio nazista). E la loro prospettiva non è sicuramente estranea ad una visione di classe di stampo socialista.

Il fulcro del programma di Ventotene, tuttavia, sta più che altro nella realizzazione di una federazione europea, dotata di un proprio esercito e di una moneta unica, priva di barriere protezionistiche e con una rappresentanza diretta dei cittadini negli organi centrali. 

L’idea di Europa che emerge dal programma di Ventotene si pone, innanzitutto e fondamentalmente, in contrasto con una concezione nazionalista della democrazia (quella che era prevalsa fino ad allora).

La tesi, in sintesi, è questa: anche se in tutti gli stati europei venisse restaurata la democrazia, se questa si fondasse sui medesimi presupposti su cui si era basata in passato, e in assenza di vincoli di carattere sovranazionale, si tornerebbe presto al punto di partenza: nulla potrebbe davvero scongiurare lo scoppio di un’altra guerra mondiale. 

Se i rapporti tra i vari stati continuassero a basarsi “esclusivamente sulla buona volontà pacifica di ciascuno di essi” – scrivono Rossi e Spinelli – “diventerebbe pressoché impossibile tirarsi fuori dall’ingranaggio che impone ad ogni stato di difendere gli interessi lesi dagli abusi altrui, ricorrendo infine alla forza per farli valere. Ricomincerebbe la militarizzazione progressiva dei singoli paesi, micidiale per qualsiasi sano regime di libertà (…). La restaurazione democratica nazionale poggerebbe perciò, anche nella migliore delle ipotesi, su basi quanto mai precarie”.

Quella di Rossi e Spinelli vuole essere una risposta ad uno dei problemi che tutti gli intellettuali antifascisti si stavano ponendo in quel momento: come fare a restaurare la democrazia, e come farlo, soprattutto, dopo tanti anni di dittatura e di disabitudine alla pratica democratica. Parlano, infatti, della necessità di “organi rappresentativi”, dell’ “indipendenza della magistratura” e della “libertà di stampa e di associazione per illuminare l’opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare effettivamente alla vita dello Stato”.

Che quello di Ventotene sia un progetto antidemocratico, quindi, è una tesi un po’ difficile da sostenere. Stiamo parlando di un periodo storico in cui parlare di rivoluzione socialista non era così strano, e soprattutto la drammaticità delle circostanze portava a pensare che difficilmente si sarebbe potuta restaurare la democrazia senza l’uso della forza. Inoltre, come abbiamo già notato, Rossi e Spinelli erano fermamente contrari allo stalinismo, tant’è vero che diversi comunisti e socialisti in confino a Ventotene che ebbero modo di leggere il testo non lo approvarono, proprio per la visione critica del comunismo di stampo sovietico che vi si poteva rinvenire.

E se tutto questo non bastasse, gli stessi autori hanno in seguito ritrattato alcuni degli aspetti più “radicali” del testo, ritenendoli eccessivamente ingenui e utopistici.

L’eredità di Ventotene

Ma tutto questo parlare di Europa, socialismo e federalismo mi ha fatto riflettere su quale sia effettivamente la valenza di un documento come il Manifesto di Ventotene per chi oggi si definisce europeista.

Credo che il Manifesto di Ventotene venga considerato uno dei documenti chiave per il processo di integrazione europea non tanto per quanto attiene alla lettera del testo, ma per lo spirito generale che ha portato alla sua redazione. L’idea più largamente condivisibile tra quelle contenute al suo interno – che forse è anche quella più centrale nel programma degli autori –  è che senza cooperare, e senza ridimensionare – almeno in parte – le proprie prerogative e la propria autonomia, gli stati europei non potessero sperare in una convivenza pacifica duratura. Probabilmente è questo il motivo per cui così tante persone esibivano il Manifesto di Ventotene alla manifestazione del 15 marzo.

E in effetti, a ben vedere, l’Unione Europea che conosciamo non ha molto del progetto di Rossi e Spinelli. Loro auspicavano la creazione di una federazione di stati. Nella realtà dei fatti, però, l’integrazione europea è stata un processo “calato dall’alto”, ovvero il contrario del federalismo immaginato a Ventotene. E ancora, se anche nel Manifesto di Ventotene troviamo delle istanze di carattere socialista, questo non significa sicuramente che la nascita dell’Unione Europea si sia basata su principi socialisti.

Prima accennavo al fatto che Giorgia Meloni venga da un ambiente in cui, com’è ovvio, si ha una concezione di Europa profondamente diversa da quella di Rossi e Spinelli; una concezione a cui spesso ci si riferisce con l’espressione Europa delle Nazioni. Si tratta di un’idea di Europa che era propria dell’MSI, che è stata trasmessa ad Alleanza Nazionale, e quindi a Fratelli d’Italia. Un’idea di Europa che pone l’accento sull’integrità e sull’autonomia delle singole nazioni che la compongono, manifestando un orientamento nazionalista e sovranista che è proprio quello che volevano evitare Rossi e Spinelli.

Alla luce di queste considerazioni, potremmo cogliere l’intervento di Giorgia Meloni, invece che come un gesto meramente strategico, come una rivendicazione piuttosto seria: quella di Ventotene veramente non è la sua Europa, e affermarlo con forza è un modo per prendere le distanze dai cittadini e dai politici che hanno preso parte alla manifestazione del 15 marzo.

Ma quella di Ventotene non solo non è l’Europa di Giorgia Meloni; non è neanche l’Europa di Maastricht.

E l’abolizione della proprietà privata?

All’inizio abbiamo ricordato che, tra i passi del Manifesto di Ventotene citati da Giorgia Meloni, ce n’è uno sulla proprietà privata. Nel suo discorso in aula, la Presidente ha detto “la proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente”. Ma nel fare ciò non si è attenuta alla lettera del testo, che invece recita:  “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Può sembrare un errore privo di conseguenze, ma in realtà, se ci facciamo caso, dalla versione originale si capisce meglio come Rossi e Spinelli non auspicassero l’abolizione della proprietà privata intesa nel senso di uno statalismo di stampo staliniano. 

Vista in questi termini, la concezione della proprietà privata di Rossi e Spinelli non è poi così diversa da quella che emerge dalla nostra Costituzione, che all’articolo 42 sancisce che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. D’altronde, su 556 membri della nostra Assemblea Costituente, 115 erano socialisti e 104 erano comunisti.

Ma fu un sotto un governo democristiano, nel 1963, che venne nazionalizzata l’energia elettrica; e fu solo l’inizio, come sappiamo, di un lungo periodo di interventismo statale, che ha subito un’importante battuta d’arresto proprio negli anni ’90, con Tangentopoli e con la nascita dell’Unione Europea. 

Quello che sto cercando di dire – a prescindere dalle opinioni che ciascuno può avere sul tema – è che sicuramente, tra i tanti spunti che si possono prendere dal Manifesto di Ventotene, l’Unione Europea per come la conosciamo oggi non ha accolto le istanze socialiste. E che in ogni caso, queste istanze socialiste non sono poi così lontane da quelle che hanno portato, all’esito di tanti dibattiti, all’approvazione dell’articolo 42 della Costituzione.

A cura di
Valentina Melis

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2 Responses

  1. Bene Valentina, che dire, hai fatto una disamina chiara e comprensibile di quello che è stato il Manifesto di Ventotene e di quanto abbia significato per la costruzione dell’Unione Europea. Sono convinto che molti non abbiano mai letto il Manifesto (io per primo), quei pochi, cattedrati e politici, che lo hanno letto non sono riusciti, a mio avviso, a riassumerlo e renderlo comprensibile a tutti, nel modo come hai fatto tu. Ci sono documenti importanti come il Manifesto di Ventotene che andrebbero inseriti nei testi di studio delle scuole dell’obbligo, perché ogni cittadino europeo capisca da dove veniamo, su che principi ci autoregoliamo e che si faccia un’idea e una coscienza propria. L’uso strumentale del manifesto da parte della Meloni ha il solo scopo di buttare fumo negli occhi dei sui elettori e distogliere l’attenzione su quali siano i veri problemi dell’Unione Europea e, soprattutto, distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dagli insuccessi di questo governo. Sarebbe bello se tanti giovani leggessero il tuo articolo. Avanti così!

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