Rimpatri: L’ UE segue il modello italiano

19 Apr , 2025 - Attualità

Innovazione e stile sono elementi tipici della moda italiana, tanto da valere fama e popolarità in tutto il mondo. Dalle passerelle alle botteghe artigiane, la penisola ha da sempre dato il via a mode e tendenze divenute internazionali. L’Italia oggi non detta il passo solo in fatto di stile, ma apre le porte ad un modello che potrebbe cambiare completamente gli assetti della politica internazionale in materia di rimpatri e che altri potrebbero iniziare ben presto a seguire. Ricorderete bene il progetto per la gestione dei migranti del giugno 2023 che, sulla base di accordi tra Italia e Albania, prevedeva il trasferimento dei migranti soccorsi dalle autorità italiane in centri costruiti in territorio albanese.

Nonostante la serie di difficoltà da allora affrontate dalla Presidente (spero mi perdoni), le quali continuano ad essere presenti tanto da rendere necessaria la revisione del progetto iniziale (e di fatto decretarne il fallimento), il modello italiano ha attecchito e ha preso forma nel regolamento sui rimpatri, proposto l’11 marzo 2025 dalla Commissione Europea, da parte del commissario agli Affari interni e alla Migrazione, Magnus Brunner.

È bene ricordare che il lavoro svolto dall’Unione Europea in materia di migrazione e rimpatri trova la sua origine ben prima di questo regolamento e che i documenti realizzati in merito sono numerosi. Volendo fare un breve riepilogo delle decisioni più importanti:

  • la “Direttiva rimpatri” relativa al 2008 con cui si stabiliscono norme per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi che non rispettano le condizioni di ingresso, soggiorno o residenza in un Paese membro.
  • Il “Piano d’azione sui Rimpatri” adottato nel 2015 che prevede un insieme di misure “volte a migliorare l’efficienza del sistema di rimpatrio dell’Unione Europea”.
  • La risoluzione sull’implementazione della direttiva del 2008, presentata dal Parlamento Europeo nel 2020, per “realizzare una politica in materia di rimpatrio più efficace e coerente”.
  • La “Strategia dell’UE sui rimpatri volontari e la reintegrazione” del 2021, volta a rafforzare il quadro giuridico e operativo per i rimpatri volontari.
  • Il regolamento sulla “procedura di rimpatrio alle frontiere” del 2024, che ha come obbiettivo quello di “razionalizzare, semplificare e armonizzare le disposizioni procedurali degli Stati membri” e “facilitare, in una situazione di crisi (quale definita nel regolamento 2024/1359) il rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi o degli apolidi il cui soggiorno è irregolare e la cui domanda è stata respinta nella procedura di asilo alla frontiera e che non hanno diritto di rimanere né sono autorizzati a rimanere”.

Avendo preso coscienza di quanto detto e ricordando che non tutte le maglie di questa lunga catena sono state qui presentate, la proposta fatta da Brunner rappresenta, perciò, l’ultimo (temporaneo) anello atto ad allargarne la circonferenza.

Di cosa si tratta e come funziona?

Nello specifico, la proposta mira a creare un “sistema comune per il rimpatrio dei cittadini dei Paesi terzi il cui soggiorno nell’Unione è irregolare”. Stando a ciò che la Commissione afferma, questo nuovo quadro legislativo fornisce agli Stati membri “norme chiare, semplificate e uniformi per la gestione dei rimpatri”, e i diretti interessati a tale procedimento “saranno soggetti a obblighi chiari di cooperazione con le autorità nel processo di rimpatrio”.

Questo regolamento si compone di 52 articoli, raccolti in 9 capitoli. Diverse sono state le novità inserite al suo interno e che ritengo meritare un occhio di riguardo.

Primo elemento introdotto è quello del “meccanismo di riconoscimento reciproco ed esecuzione delle decisioni di rimpatrio emesse da un altro Stato membro”. Per chiarire, la procedura di rimpatrio di uno Stato membro dell’Unione Europea avrà valenza sull’intero territorio. Se, ad esempio, un richiedente asilo avvia la sua richiesta in Italia, e lo stato decide di negarla dando via ad una procedura di rimpatrio, nel momento in cui il richiedente decide di spostarsi in un altro paese, la richiesta italiana potrà essere presa in carico dall’altro Stato europeo, senza che quest’ultimo necessiti di iniziare l’intera pratica da zero. Questo procedimento sarà possibile in quanto, stando all’art. 7, par.7 della proposta di regolamento, gli elementi principali della decisione di rimpatrio saranno inseriti nel modulo “European Return Order” e resi disponibili ad ogni stato membro tramite il sistema di informazione Schengen.

L’altro contenuto saltato all’occhio è quello relativo al rimpatrio forzato di chi soggiorna in maniera irregolare su suolo europeo, che avverrà in caso di mancata cooperazione, fuga in un altro Stato membro, permanenza sul territorio entro il termine stabilito e rischio per la sicurezza.

Si aggiungono poi degli “obblighi espliciti di cooperazione” nello svolgersi della procedura di rimpatrio con “conseguenze chiaramente definite in caso di mancata cooperazione”, che possono passare dalla riduzione dei sussidi al sequestro dei documenti di viaggio. A questi elementi va unito il sistema di norme introdotte per gestire il rischio di fuga dei rimpatriandi, ai quali, per poter essere più facilmente localizzati, potrà essere chiesta una garanzia finanziaria, la presenza obbligatoria o il soggiorno presso un luogo designato dalle autorità nazionali. Inoltre, il limite del periodo di trattenimento verrà esteso dagli attuali 18 mesi a 24.

La questione che però ha mosso l’interesse e anche lo stupore di molti, è quella della creazione dei centri di rimpatrio, definiti “return hubs” dall’art.17 del regolamento. Con quest’ultimo si introduce la possibilità giuridica di rimpatriare in un paese extra UE, basandosi su accordi o intese concluse bilateralmente, individui con soggiorno irregolare nell’Unione Europea che devono essere necessariamente rimpatriati. Ancora, i paesi terzi in questione devono rispettare le norme ed i principi internazionali riguardanti i diritti umani, in osservanza del diritto internazionale.

La Commissione in ogni caso assicura che “in tutte le fasi della procedura di rimpatrio saranno tutelati i diritti fondamentali dei rimpatriandi”.

Cosa ci dice questa proposta?

Anche se non direttamente espresso dalla Commissione, la proposta di effettuare rimpatri anche verso paesi differenti da quello di origine e che sono, tra l’altro, al di fuori del territorio dell’Unione Europea, risponde a quel “progetto di esternalizzazione della politica migratoria” che l’estrema destra ha da tempo proposto a Bruxelles e che si sta diffondendo in sempre più paesi europei (ricordiamo il partito di estrema destra tedesco AfD durante la campagna elettorale per le elezioni federali e la sua iniziativa di inviare nelle cassette postali di migliaia di persone con background migratori, biglietti di espulsione dalla Germania).

Le motivazioni che la Commissione fornisce al riguardo sono legate alle difficoltà che si incontrano nel processo di espulsione, per cui solamente un soggetto su cinque di coloro che dovrebbero lasciare l’UE, viene effettivamente rimpatriato. Il presupposto alla base di questa riforma è quindi che molti richiedenti asilo non ne abbiano diritto ed “abusino” del diritto di protezione.

Questi cambiamenti sollevano diverse questioni relative sia alla gestione dei centri, che alla preservazione dei diritti umani. Il principio di non respingimento (art.33 della convenzione di Ginevra, che afferma come ad un rifugiato non possa essere vietato l’ingresso sul territorio ne possa essere deportato o trasferito in territori dove la sua vita o la sua libertà sono minacciati) viene messo alla prova in quanto non si ha la garanzia che il paese ospitante rispetti effettivamente l’attuazione dei diritti umani. La costruzione di centri al di fuori della giurisdizione europea, infatti, non può essere motivo della non attuazione del diritto europeo, in quanto gli Stati membri stessi saranno i soli responsabili di ciò che avverrà all’interno degli hubs.

In un documento redatto a seguito dell’Informal Working Meeting del 24 giugno 2018, si scriveva testualmente: “Non è possibile, ai sensi della legge UE sui rimpatri, inviare qualcuno, contro la sua volontà, in un paese da cui non proviene o attraverso cui non è transitato. Un accordo con un paese terzo sarebbe una precondizione necessaria per l’attuazione di questo scenario, così come una revisione delle norme UE. Il rischio di violare il principio di non respingimento è elevato”. Stando a quanto riportato, ad oggi è necessario quindi, prima di tutto, che la base giuridica venga modificata, ma rimane la paura e la preoccupazione da parte delle organizzazioni umanitarie circa il reale rispetto dei diritti umani e il relativo controllo giudiziario.

Non c’è da biasimare tali paure, considerando che non è necessario viaggiare lontano con la fantasia per comprendere queste preoccupazioni: è sufficiente osservare le condizioni in cui vertono le persone all’interno dei Cpr italiani (Centri di Permanenza per il Rimpatrio). Le denunce che arrivano circa maltrattamenti ed irregolarità sono numerose, così come i report con le testimonianze di chi è stato trattenuto al loro interno e che si è visto costretto a vivere in situazioni di assoluto degrado.

I Cpr in Italia sono gestiti da strutture private che guadagnano sulla pelle di persone che vengono private della libertà e soggette a servizi pessimi, davanti ai quali si preferisce rimanere immobili e non intervenire, contribuendo a quella che è una delle vergogne più grandi del nostro Stato.

Al di là di quanto detto fin ora, in mancanza di una lista comune di paesi terzi adatti alle caratteristiche elencate e senza un impegno economico da parte dell’Unione Europea e degli stati membri, la possibilità di creazione degli hubs rimane ad oggi una proposta caratterizzata unicamente da una forte impronta politica e propagandistica. Effettivamente, le grandi quantità di denaro necessarie per poter realizzare un progetto simile rendono difficile visualizzarne la realizzazione. Non sarebbe forse più adatto concentrarsi sul riconoscimento della protezione internazionale e su un sistema di regolamentazione permanente e legale costruito con accordi di cooperazione nel campo delle migrazioni?

Questo tema sarà sicuramente al centro del prossimo Consiglio europeo e la decisone in merito avrà un impatto importante sul futuro della politica migratoria europea, in quanto va ricordato che essendo un regolamento, questo assumerebbe carattere vincolante e dovrà essere applicato interamente in tutti gli Stati. Per ora serve pazientare e vedere se siamo davanti ad una moda passeggera o ad un vero e proprio trend.

A cura di

Federica Ciminari

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