Università svelate e l’illusione del diritto allo studio

11 Apr , 2025 - Bologna

Università svelate e l’illusione del diritto allo studio

Cos’è successo?

Se recentemente hai bazzicato per l’area universitaria di Bologna o come molti di noi fatto lezione a Palazzo Hercolani su Strada Maggiore, impossibile era non accorgersi degli striscioni e delle proteste generali che hanno animato la nostra università negli scorsi mesi, e che in particolare sono culminate il 20 marzo, Giornata nazionale dell’Università. Lo scorso 20 marzo, infatti, i precari dell’Università si sono mobilitati contro la riforma Bernini, (fortunatamente) attualmente sospesa, grazie agli esposti presentati da Adi (Associazione dei dottorandi e dottori di ricerca italiani) e dal sindacato Flc-Cgil, che denunciavano il mancato rispetto, da parte dell’Italia, degli obblighi del Pnrr sull’università chiesti dall’Europa e volti a incentivare la stabilizzazione dei lavoratori in ambito accademico. Il disegno di legge “Bernini” (il ddl 1240), formulato a settembre 2024, tra le altre cose prevedeva la creazione di cinque nuove figure: il “contratto post-doc” per una durata massima di tre anni, due borse di assistenza alla ricerca (con inquadramenti simili agli assegni di ricerca) e un “professore aggiunto” (dai tre mesi ai tre anni), previsto per attività di didattica ma anche di ricerca e di terza missione. L’introduzione di queste nuove figure contrattuali precarie, insieme ai tagli decisi dal governo Meloni (le ultime leggi di bilancio del governo, infatti, hanno ridotto significativamente il fondo di finanziamento ordinario delle università di 500 milioni di euro nel 2024 e di 700 milioni nel triennio 2025-2027), costringerebbe gli atenei italiani a lasciare a casa circa due terzi dei più di trentamila lavoratori precari, tra professori a contratto, assegnisti, borsisti e ricercatori. Ricercatori, dottorandi, studenti e docenti, davanti al rischio così concreto di un aggravarsi della situazione già fragile delle università pubbliche hanno deciso quindi di scendere in piazza a protestare proprio il 20 marzo in diverse città d’Italia, su proposta dell’Adi.

A Bologna

A Bologna, il corteo è partito dal Rettorato in via Zamboni, e ha visto la partecipazione di una cinquantina di persone, che hanno scelto di bloccare simbolicamente la porta con un nastro bianco e rosso. Era chiaro che, tra i partecipanti, l’obiettivo era uno solo: quello di svelare la realtà dei fatti dietro l’immagine romantica e patinata del mondo accademico. Il lavoro precario di migliaia di ricercatori, dottorandi, assegnisti di ricerca, ma anche del personale amministrativo che lavora in condizioni instabili, con contratti brevi e senza garanzie. Ironicamente, questa voglia di verità si concilia bene con il tema scelto dal Ministero dell’Università e della Ricerca, ovvero “Università svelate”, titolo in teoria scelto per raccontare il patrimonio scientifico e culturale delle università italiane. Afferma quindi un comunicato di Adi: “Noi non possiamo tacere di fronte all’ipocrisia di queste celebrazioni […]. La realtà che viviamo ogni giorni racconta tutt’altro: tagli indiscriminati al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) per un totale di 1,2 miliardi di euro, con 500 milioni già sottratti nel 2024 e altri 700 in arrivo nel triennio 2025-2027; riforme che precarizzano il nostro già precario lavoro, svilendoci ulteriormente. Questi tagli non sono solo cifre su un bilancio già misero: rappresentano vite precarie, il progressivo smantellamento dell’università pubblica e della ricerca a vantaggio della telematizzazione della formazione, degli interessi del mercato e del complesso militare-industriale. L’università che vorrebbero raccontare il 20 marzo è un’illusione. Dietro le immagini di progresso e innovazione si cela un sistema che sfrutta migliaia di ricercatori e docenti precari, relegandoli a contratti a tempo, senza garanzie e senza prospettive. E’ un sistema che chiude le porte al diritto allo studio, costringendo intere generazioni di studentə a scegliere tra l’indebitamento e la rinuncia alla formazione. È un sistema che abdica alla propria funzione pubblica, piegandosi agli interessi privati e multinazionali, trasformando la conoscenza in una merce e l’università in una fabbrica di consenso e sfruttamento”.

Foto di Stella Chirdo

Non solo il corteo…

Durante la giornata di mobilitazione, si sono svolti anche un pranzo sociale, sempre in via Zamboni, e due momenti di discussione sul tema della precarietà in piazza Scaravilli: “Autocoscienza precaria: verso lo sciopero” il primo, mentre il secondo “Disarm university” prevedeva un focus sulla guerra e il militarismo nelle università. Ovviamente, la protesta non si è ancora esaurita: ricercatori e i dottorandi chiedono un confronto aperto nell’Aula Magna di Santa Lucia, luogo dal quale sostengono di essere stati tenuti lontani il giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico (1 marzo 2025) e affermano che stanno già organizzando uno sciopero generale dell’università per il mese di maggio. Che queste proteste, di portata nazionale, abbiano avuto così tanto riscontro a Bologna, non stupisce: per una città la cui università conta 96.945 studenti (certo, suddivisi tra i vari campus, ma la maggioranza sono comunque nella città), e che, solo nello scorso anno accademico, ha visto 2.651 dottorati di ricerca (51 corsi) è ovvio che il tema del lavoro nel mondo dell’accademia sia particolarmente sentito. E nel Paese in cui gli investimenti riservati all’università sono tra i più ridotti d’Europa (1,5 per cento della spesa pubblica) e i lavoratori precari nel mondo dell’accademia sono aumentati del circa il 20% negli ultimi dieci anni, è fondamentale che realtà come Bologna si mobilitino.

Susanna Catellani


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2 Responses

  1. Brava Susanna hai dato visibilità ad un problema annoso che da decenni costringe giovani menti brillanti a fare una scelta importante: rimanere nel paese che ami e fare il precario a vita (o quasi), oppure andare all’estero per essere pagata meglio e vedere che sei riconosciuta per quello che vali, non perché sei amico o parente di qualcuno. È anche giusto che il dissenso venga manifestato: è dal dissenso verso l’ordine costituito che sono nate le democrazie moderne. È dalla manifestazione del disaccordo nei confronti dei governanti che sono scaturite le leggi a tutela dei diritti della persona. Manifestiamo, estrinsechiamo il nostro dissenso, ma facciamolo adesso, facciamolo prima che entri in vigore il decreto sicurezza della Meloni! Se è vero che i governi degli ultimi cinquant’anni hanno fatto ben poco per dare le cattedre a chi se lo merita, se è vero che fino ad oggi molto poco si è realizzato per rendere meno precario il mondo dell’insegnamento, insegnamento intesiin senso lato, è anche altrettanto vero che questo governo, oltre a ridurre i finanziamenti per l’istruzione, sta pure togliendo il diritto di protestare: se dissenti ti arrestano! Un bel passo per l’umanità, si, ma di cento anni addietro.

  2. Grazie mille per aver condiviso questa interessante riflessione. Noi studenti sentiamo molto vicina questa tematica e, personalmente, mi fa piacere di studiare in una città come Bologna dove la voglia di manifestare per difendere i propri diritti è così forte.

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