Vi siete mai chiesti cosa potrebbe succedere in un futuro dove le donne vengono considerate solo in relazione alla loro possibilità di procreare? Dall’omonimo romanzo dell’autrice Margaret Atwood nasce The Handmaid’s Tale (Il racconto dell’ancella), una serie televisiva che, pur essendo distopica, non sembra così lontana dalla nostra realtà, e che ci invita a chiederci se corriamo il rischio che uno scenario del genere si realizzi.
La trama
La serie costruisce il suo universo narrativo attorno al regime teocratico totalitario di Gilead, una società in cui le donne vengono classificate in base alla loro possibilità di procreare, a seguito di un calo drastico di fertilità. Le donne fertili, le “Ancelle”, vengono assegnate ad una famiglia facoltosa allo scopo di garantirle la nascita di un figlio. Ciò avviene nel giorno della “Cerimonia”, a cadenza mensile, dove l’Ancella viene violentata sessualmente dal padrone, sotto gli occhi della moglie di lui, spettatrice e partecipe dell’atto. Oltre alle Ancelle vi sono le “Marta” che hanno il ruolo di domestiche e aiutano le “Mogli” che si occupano di gestire la casa dei loro mariti.
“Now I’m awake to the world. I was asleep before. That’s how we let it happen. When they slaughtered Congress, we didn’t wake up. When they blamed terrorists and suspended the constitution, we didn’t wake up then, either. Nothing changes instantaneously. In a gradually heating bathtub, you’d be boiled to death before you knew it.”
Con questa riflessione particolarmente evocativa, la protagonista June Osborne (utilizzando le parole di Margaret Atwood) si rende conto di come tutto è cambiato seguendo un percorso ben definito, non da un giorno all’altro, ma gradualmente, sotto gli occhi di tutti. Dopo la guerra civile, le donne vengono dapprima costrette a lasciare i loro lavori; dopodiché vengono bloccate le loro carte di credito e, dopo ancora, i loro passaporti. Come risultato di questo crescendo di limitazioni, le donne di Gilead vengono praticamente schiavizzate.
Le donne fertili vengono prelevate dalla propria famiglia per essere addestrate al “Centro rosso”, per poi essere consegnate al proprio padrone. Qualsiasi tentativo di ribellione porta alla mutilazione e, nei casi più gravi, alla deportazione nelle “Colonie”, dove le donne vengono condannate ad una morte inevitabile a seguito di contatti con sostanze radioattive, oppure uccise tramite lapidazione o impiccagione.
June, ribattezzata Difred per la sua appartenenza al comandante Fred Waterford, mostra una crescente insofferenza nei confronti di un sistema percepito come ingiusto, unendosi al gruppo “Mayday” che si era già attivato per cercare di cambiare la società dal suo interno.
Con l’avanzare delle stagioni, la serie mostrerà una contrapposizione tra il personaggio di June e quello di Serena Joy, la moglie del comandante Waterford, che passa dall’essere una donna colta e femminista all’essere un ingranaggio all’interno del sistema che lei stessa ha contribuito a creare, prima di diventarne succube. Non è perfettamente chiaro quale sia il vero ruolo di Serena Joy, e ogni dubbio verrà risolto nell’ultimissima stagione della serie in distribuzione fino a fine maggio.

Un’analisi in chiave contemporanea
Vedere una serie di questo calibro non è semplice: il forte carico emotivo che porta con sé è difficile da sostenere, specialmente se si riflette sulla condizione della donna in una società di questo tipo. Nonostante assistere alle grandissime offese alla dignità della donna che vengono perpetuate possa non essere alla portata di tutti, è importante che il ragionamento che scaturisce da questa visione sia diffuso all’interno della società.
Non è concepibile che una donna appartenga a qualcun altro e che l’uso del suo corpo venga regolamentato da una serie di uomini che decide che le donne non possano nemmeno leggere un libro, studiare, farsi una passeggiata. Il pensiero comune porterebbe a dire: ma è distopico, non sta succedendo realmente. Ma fino a che punto?
Una chiara obiezione riguarda il fatto che il diritto all’aborto non venga riconosciuto liberamente, e già questa costituisce una limitazione alla libertà di scelta della donna. Bisogna anche riflettere sul fatto che nel resto del mondo, come in Iraq o in Afghanistan, vi sono regimi totalitari che non lasciano libertà alle donne neanche di iscriversi all’università. Alla luce di queste considerazioni, risulta sempre meno inverosimile la preoccupazione che questa serie può destare.
Particolarmente evocativa è una canzone, Labour di Paris Paloma:
“All day, everyday, therapist, mother, maid,
Nymph, then a virgin, nurse then a servant,
Just an appendage, live to attend him,
So that he never lifts a finger.
24/7 baby machine, so he can live out his picket-fence dreams
It’s not an act of love if you make her
You make me do too much labour”
Riscontro una profonda connessione tra la serie televisiva e il brano, una canzone che parla di come alle donne vengano attribuiti così tanti compiti in modo che l’uomo non debba fare niente se non seguire i suoi sogni. I sogni della donna, in universo come quello di Gilead, vengono accantonati, ignorati. C’è solo uno scopo da perseguire, che è quello di garantire un erede alle famiglie più ricche; le donne che non hanno il compito specifico non hanno nessun interesse personale da perseguire nella loro esistenza. O sono domestiche o, anche essendo mogli, non possono avere niente da ridire sulle azioni del marito; e anche loro possono finire nelle Colonie.

“Migliore non significa migliore per tutti, significa sempre peggio per qualcuno”: così commenta il comandante Waterford la nuova situazione delle donne nella serie. Ma dev’essere sempre così? La società in cui viviamo potrebbe essere considerata migliore rispetto a quella precedente in relazione ai diritti posseduti dalle donne; ma lo è anche per coloro che vogliono abortire, ma sono costrette ad ascoltare il battito del bambino prima di farlo? Lo è anche per le donne costrette a sposarsi da bambine senza avere nessuna voce in capitolo a riguardo? E per quanto riguarda la condizione delle donne in Palestina che, se ancora vive, non possono partorire senza le adeguate precauzioni, e vivono nel costante rischio di essere vittime di una violenza sessuale?
La lista potrebbe andare avanti all’infinito, ponendo le persone davanti alla cruda realtà: la condizione della donna, sebbene migliorata per alcune, lascia ancora moltissime donne a soffrire le conseguenze di un sistema patriarcale che le vede non uno, non due, ma mille gradini in basso rispetto all’uomo. Ciò non significa che non siano stati fatti dei passi avanti rispetto al passato, ma non è finita, bisogna lottare anche per chi è meno fortunato rispetto a noi; per chi si trova in regimi che non garantiscono i loro diritti, e per garantirne altri anche a noi che, in realtà, così al sicuro non siamo.
A cura di Alice Diblio
image sources
- The-Handmaids-Tale-1536×1024: Taxidrivers.it
- fr-handmaids-tale-serie-tv04: Nerdface