Trump contro la libera università

7 Giu , 2025 - Attualità

Trump contro la libera università

L’università di Harvard resiste

Il 2 febbraio 2021 l’attuale vicepresidente degli Stati Uniti JD Vance, in un lungo discorso alla National Conservative Conference, afferma la necessità di “attaccare aggressivamente le università in questo paese”, e prosegue dicendo che “l’università trasmette inganni e bugie” e ancora, citando Nixon che “i professori sono il nemico”.

A quattro anni di distanza, l’offensiva contro l’indipendenza degli atenei e la libertà accademica continua a prendere forma all’interno del più grande disegno politico dell’amministrazione Trump. Già lo scorso anno il presidente statunitense aveva iniziato a prendere di mira le sedi universitarie che, a pochi mesi dallo scoppio della guerra israelo-palestinese, avevano visto l’organizzazione di manifestazioni e proteste da parte degli studenti. Gli atenei avevano subito delle minacce relative a dei possibili tagli dei fondi pubblici, mentre alcuni studenti che avevano partecipato alle proteste erano stati arrestati.

In particolare, lo scorso marzo, l’università di Harvard ha subito un controllo degli oltre otto miliardi di euro di contratti e sovvenzioni tra l’università ed il governo federale. Oltre a questo, l’intervento dello stato avrebbe riguardato anche dei cambiamenti nella gestione del curriculum (in particolare la chiusura dei programmi su diversità, equità e inclusione), le politiche di ammissione e le modalità di assunzione del personale docente.

Le motivazioni date dall’amministrazione a tali richieste hanno riguardato la necessità di contrasto all’antisemitismo nei campus, a seguito di alcuni atti di violenza avvenuti nei confronti di alcuni studenti ebrei.

La sede leader della Ivy League si è sempre rifiutata di scendere a patti con le richieste della Casa Bianca, ma questo non è avvenuto da parte di un’altra università: la Columbia. Quest’ultima ha di fatto ceduto parte del controllo all’amministrazione statunitense, acconsentendo alla cessione del dipartimento degli studi sul Medioriente, Asia e Africa ad un funzionario statale piuttosto che ad un docente, al divieto di indossare mascherine durante le proteste e all’aumento dei poteri agli ufficiali della sicurezza per arrestare o rimuovere persone all’interno del campus. La Columbia ha deciso di sottostare a quanto richiesto per evitare di perdere 400 milioni in sovvenzioni e contratti federali, sottoscrivendo tali accordi all’interno di un promemoria.

A seguito delle crescenti pressioni, Harvard ha deciso di muovere causa nei confronti dell’amministrazione Trump, scagliandosi sia contro i metodi di approccio della Casa Bianca sugli gli studenti, sia circa le minacce relative ai tagli dei finanziamenti, considerate come influenza della politica nella libertà di parola nei campus e dell’indipendenza dell’ateneo. A tale presa di posizione, la risposta è stata il congelamento di 2,2 miliardi di dollari, ma il presidente di ateneo Garber afferma che “L’Università non rinuncerà alla sua indipendenza né rinuncerà ai suoi diritti costituzionali”.

Le mosse per mettere in ginocchio il campus universitario stanno prendendo una piega sempre più restrittiva e negli ultimi giorni Donald Trump ha sferrato un altro attacco: impedire l’iscrizione degli studenti stranieri, revocando la certificazione del programma per gli studenti ed i visitatori non provenienti dagli Stati Uniti.

Il Dipartimento per la sicurezza interna americana ha revocato la certificazione ad Harvard per ammettere gli studenti stranieri, di conseguenza non potranno più essere iscritti studenti dall’estero, mentre gli attuali studenti stranieri perderanno lo status di residenti legali se non decideranno di trasferirsi in un’altra università. Si interrompono di fatto i colloqui per gli studenti internazionali che vorrebbero il visto e si amplia la verifica dei dati sulle piattaforme di social network per gli studenti stranieri presenti.

Questo è un duro colpo per Harvard, in quanto circa 6800 studenti (il 27%) sono parte dell’economia che tiene in piedi il campus, già fortemente colpito dal taglio delle sovvenzioni federali.  

Se Harvard volesse evitare tale blocco dovrebbe dare al governo i documenti degli studenti stranieri, tra cui video e audio che potrebbero inserirli all’interno di attività di protesta degli ultimi cinque anni.

La risposta del polo universitario è stata quella di citare, per la seconda volta, in giudizio l’amministrazione davanti alla corte federale di Boston, con l’accusa di aver violato la costituzione americana. Il giudice federale Alice Burroughs ha imposto una sospensione temporanea del provvedimento, che ha bloccato gli effetti dello stop alle iscrizioni.

L’ultima, recentissima, decisione è quella di cancellare i restanti contratti federali con l’università, per un valore di circa cento milioni di dollari. Le motivazioni sono sempre legate alle giustificazioni date nel corso di tutto il periodo di scontro: si è creato un campus non sicuro che ha permesso l’azione di agitatori antiamericani. Il New York Times ha osservato come in una lettera di Washington alle agenzie governative, si chieda di trovare fornitori alternativi. Tale misura è stata ovviamente condannata dal presidente Garber che afferma come tale decisione metta in pericolo il futuro di migliaia di studenti.

Università e democrazia

L’ università è, da sempre, il cuore del fermento politico che contraddistingue un paese democratico. È un cardine delle realtà democratiche e l’attacco ad essa corrisponde ad un processo di neutralizzazione democratica, di demolizione dei diritti sociali e di repressione del dissenso. L’università permette agli individui di emanciparsi a livello personale e sociale, oltre che sviluppare e costruire un sapere critico e pluralista. È questo pluralismo che consente lo sviluppo democratico e forzare un cambiamento interno a queste istituzioni, significa sterilizzare il pensiero divergente che dovrebbe caratterizzare il mondo universitario.

Nessun tipo di governo dovrebbe decidere il percorso formativo di un’università, chi assumere, quali aree di ricerca perseguire e quali docenti ammettere. Trattenere dei fondi federali in modo tale da fare pressione per aderire alla propria agenda politica e influenzare le dinamiche dei campus universitari sta diventando la normalità per il leader americano.

È davvero corretto arrestare degli studenti che, in maniera del tutto libera, manifestano e si mobilitano per degli ideali, per delle idee che ritengono valide e per la volontà di schierarsi contro delle dinamiche internazionali?

Sembrerebbe quasi che quella che molti definiscono la “più grande democrazia occidentale” e che da sempre si mobilita in tale direzione, stia invece prendendo le caratteristiche delle grandi autocrazie che tanto continua a criticare.

La tattica europea

Ma qui non parliamo solo di libertà di espressione e di indipendenza, ma facciamo riferimento anche al ruolo centrale che le università americane svolgono nell’ambito della ricerca a livello internazionale.

L’Unione Europea ha cercato di mobilitarsi, sfruttando le dinamiche che il paese statunitense sta portando avanti.

All’evento Choose Europe for science, tenuto ad inizio maggio, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha annunciato un pacchetto di cinquecento miliardi di euro per attirare i ricercatori stranieri, sotto quello che si è iniziato a definite “asilo scientifico”, in particolare da parte di Belgio, Francia e Paesi Bassi.

La proposta vuole posizionare l’Unione Europea come nuovo faro della ricerca scientifica a livello internazionale e critica fortemente la decisione americana di mettere un freno alla scienza aperta, mettendo di fatto in fuga i ricercatori dal paese.

Tali azioni sono viste con occhio positivo da parte di alcuni, che ne riconoscono il messaggio forte anche se necessario di essere attuato e finanziato in maniera più ampia e strutturata, con investimenti e riforme adatte.

Sembra quindi che il processo di isolamento degli Stati Uniti sia sempre più reale e questo potrebbe portare ad un eventuale allontanamento del processo scientifico, sociologico e tecnologico, che fino ad oggi essi hanno rappresentato, oltre che proseguire un percorso che sembrerebbe star, in maniera sempre più crescente, remando loro contro. 

A cura di

Federica Ciminari

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