Jannik Sinner ha giocato la sua quarta finale di uno Slam, la terza consecutiva dopo la vittoria agli US Open nel settembre 2024 e agli Australian Open lo scorso gennaio. Dopo una partita lunga, logorante, tra i due giocatori più forti del mondo al momento, il tennista italiano è stato costretto a inchinarsi a Carlos Alcaraz (è stata la finale più lunga nella storia del Roland Garros con una durata di 5h e 30 minuti).
Ormai leggere il nome di Jannik Sinner associato alla parola ‘finale’ sembra scontato. Sono poche le volte in cui non l’ha raggiunta nei tornei più importanti e sono ancora di meno quelle che non ha vinto da due anni a questa parte.
Si potrebbero dire tante cose sul tennista italiano: che quella di ieri è stata la sua ottava finale consecutiva, che è stato l’unico a non aver perso neanche un set in tutto il torneo prima della finale di ieri, che è il primo (dopo ‘i big four’) ad aver raggiunto tre finali slam consecutive, che ha raggiunto due finali (a Roma un mese fa e appunto ieri a Parigi) dopo uno stop di tre mesi. E potrei andare avanti per molto, ma questo lo lasciamo fare alle testate giornalistiche sportive. Oggi io vi vorrei parlare di un’altra cosa.
L’attenzione mediatica
L’impatto di Sinner va oltre i suoi risultati sportivi. Quello che sta facendo per il mondo del tennis italiano è qualcosa che fino a qualche anno fa era difficile da immaginare. Ogni sport ha bisogno di un campione per appassionare le persone, e Jannik Sinner è stato ed è questo.
In termini di attenzione mediatica, Sinner ha raggiunto livelli senza precedenti per un tennista italiano. In un paese come l’Italia, dove il calcio è da sempre religione e intrattenimento, è difficile mettere in discussione la sua egemonia mediatica. Ma è giunto il momento di farlo. Perché mentre la Nazionale di calcio continua a collezionare delusioni e pessime prestazioni, lo sport italiano trova gloria e orgoglio altrove. E in cima c’è sicuramente (ma non solo) Jannik Sinner.
Eppure, il calcio continua ad assorbire oltre l’80% dello spazio dedicato allo sport nei media nazionali. Ogni giorno, decine di talk show, trasmissioni, pagine di giornale sono occupate da analisi, polemiche, dichiarazioni e retroscena che spesso hanno più a che fare con lo spettacolo che con lo sport.
Nel frattempo, Jannik Sinner è diventato il numero 1 del mondo nel tennis. Ha vinto tre prove del Grande Slam, quattro tornei Masters 1000 e una ATP Finals. Ha trascinato l’Italia alla conquista di due Coppe Davis in due anni, qualcosa che nel calcio sarebbe quasi l’equivalente di vincere due Mondiali consecutivi. Ma con una differenza sostanziale: nel tennis, quei titoli li ha vinti davvero.
Oltre al tennis che trova gloria anche nei nomi di Jasmine Paolini e Sara Errani (ieri vincitrici del doppio), la pallavolo italiana domina a livello mondiale, il nuoto continua a produrre campioni olimpici, il ciclismo emoziona, l’atletica ha delle punte di diamante fino a qualche anno fa difficili da immaginare, nella ginnastica artistica siamo da qualche settimana campionesse d’Europa, e nella ritmica Sofia Raffaeli continua a raggiungere successi internazionali. Solo per citare alcuni casi.
Non possiamo più considerare ‘minori’ tutti quegli sport in cui l’Italia è ai vertici mondiali (e invidiata). Non bastano più le ultime pagine nei giornali e i minuti finali delle trasmissioni di approfondimento sportivo.
Cosa può cambiare?
Il successo di Jannik Sinner è un’occasione storica per rivedere le priorità dello sport italiano. Per liberare i media dal monopolio calcistico e riconoscere valore, merito e talento in discipline che stanno portando risultati concreti e un’immagine positiva all’Italia nel mondo.
La rilevanza che ha raggiunto il tennista italiano (prime pagine a lui dedicate nei giornali sportivi, servizi nei telegiornali nazionali e così via) andrebbe dedicata a tutti gli altri sport. Forse è una lotta contro i mulini a vento chiedere che l’Italia guardi oltre il pallone. Ma fin quando i risultati degli altri sport surclasseranno quelli del calcio, è una battaglia più che lecita. Continueremo a sostenere queste discipline, a raccontarle, a chiedere che abbiano il posto che meritano. Perché lo sport italiano è molto più ricco, vivo e vincente di quanto ci raccontino ogni sera in TV o nelle prime pagine dei giornali. E merita di essere celebrato tutto, non solo una sua parte. Forse è tempo di voltare pagina. Non per abbandonare il calcio, ma per smettere di considerarlo l’unico linguaggio possibile dello sport.
A cura di Laura Garau
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