Annie Ernaux e “L’evento”: memorie di un aborto.

22 Giu , 2025 - Cultura

Annie Ernaux e “L’evento”: memorie di un aborto.

Pubblicato nel 2000, L’evento rievoca per la prima volta in 40 anni la vicenda dell’aborto clandestino di Ernaux, avvenuto nel 1963.
L’autrice, premio Nobel per la letteratura, ripercorre i primi attimi di smarrimento, rifiuto e solitudine, ma anche la salda presenza di certezze inamovibili, conducendo schiettamente e impudicamente il lettore verso il climax della vicenda: l’aborto, in tutta la sua impressionante crudezza.
Una testimonianza, questa, che trascende il piano personale, delineando sul suo corpo di donna le tracce di un’epoca.

Il breve libro, di appena 100 pagine, alterna un distaccato e clinico rigore narrativo – dovuto anche alla distanza temporale tra l’evento e il suo effettivo racconto – a momenti di straziante durezza emotiva. Non solo, ma lo fa dall’apice di una società francese nel frattempo progredita, avendo depenalizzato l’aborto nel 1975. La necessità di riprendere la memoria in forma scritta è per lei – più che autobiografia – una responsabilità pubblica.

Ora, a 25 anni dalla sua comparsa nelle librerie, L’événement torna ad essere attuale, in un ciclo di vittorie e sconfitte che testimoniano la fragile temporaneità dei diritti conquistati.

Che la clandestinità in cui ho vissuto quest’esperienza dell’aborto appartenga al passato non mi sembra un motivo valido per lasciarla sepolta. Tanto più che il paradosso di una legge giusta è quasi sempre quello di obbligare a tacere le vittime di un tempo, con la scusa che «le cose sono cambiate». […] È proprio perché nessun divieto pesa più sull’aborto che […] io posso affrontare, in tutta la sua realtà, questo evento indimenticabile.

Source: Frankie Fouganthin | CC BY-NC-SA 4.0 International

Annie Ernaux scopre di essere incinta durante una normale e, anzi, ripetitiva giornata, scandita dalle lezioni universitarie e dalle uscite con gli amici. L’ordinarietà dello studio, i viaggi verso casa per visitare i genitori, i momenti col fidanzato di cui lei non è poi così sicura – tutte queste vicende mondane sono interrotte da momenti di crisi: le mestruazioni che non arrivano, le preoccupazioni economiche, la ricerca esitante di risposte da medici e, infine, la realtà che non può più ignorare: non c’è dubbio, Annie è incinta.

La reazione è spietata, ma sincera e diretta: la giovane sa dal primo istante di non voler portare a termine la gravidanza. Onesta con sé stessa, non prova né tristezza né indecisione; ciò che la attanaglia è piuttosto la solitudine, e talvolta la paura.
L’autrice si scontra in primo luogo con l’assenza di un sistema sanitario che sia in grado di ascoltarla e con medici incapaci di agire alle sue suppliche, sotto il peso incombente della legge.

L’incomprensione, inoltre, emerge dalle parole e dalle espressioni dei coetanei con i quali si confida, mentre il padre del feto, inizialmente presente, non sembra particolarmente turbato dall’avvenire.

La quotidianità così scorre, virtualmente immutata, se non per la progressiva consapevolezza di “un corpo estraneo” che le cresce dentro.

Il tempo ha smesso di essere una sequela interminabile di giorni. […] È diventato una cosa informe che avanzava dentro di me e che bisognava distruggere a ogni costo. […] C’erano le altre ragazze, con i loro ventri vuoti, e c’ero io.

Inizia la ricerca disperata di una modalità per abortire, ma nessun medico, nessuna istituzione o persona è disposta ad aiutarla. Le risposte che riceve sono l’emblema di una società – quella degli anni ’70, patriarcale, borghese, cattolica – che la osserva e la colpevolizza. Una società che paradossalmente, pur abbandonandola, le riserva contemporaneamente uno sguardo di fascino, di attrazione quasi morbosa, nascente non dall’interesse per il suo benessere, quanto per le potenzialità distruttive del suo corpo, veicolo di una tragedia sociale.

Né il diploma né tutti gli esami dati a lettere erano riusciti a ostacolare la fatale trasmissione di una miseria di cui la ragazza incinta era, alla stregua dell’alcolizzato, l’emblema. Mi ero fatta fregare all’ultimo dagli ardori, e ciò che cresceva in me era, in un certo senso, il fallimento sociale.

L’aborto, proprio per questo, è per lei più di una decisione individuale: è una prova di resistenza.

Arriva così la svolta. L’incontro con l’unica persona capace di rimuoverla dall’incubo che sta vivendo: la “mammana”. I momenti con la donna distaccata e “meccanica” sono pregni di un’aria di attesa, di tensione. Il suo appartamento, adibito a studio medico, odora di antisettici. Entrando nell’abitazione, la prima immagine con cui Ernaux si confronta è quella di una sonda abortiva rudimentale, immersa in una pentola d’acqua in ebollizione: da qui si susseguono i successivi crudi momenti.
Il primo tentativo è traumatico, doloroso e senza successo. Segue così il secondo. Nessuna anestesia, nessuna assistenza: solo un corpo giovane abbandonato all’incognita. Eppure, la brutalità dell’esperienza narrata sembra in contrasto con le emozioni che lei stessa descrive: un senso di liberazione, quasi di rinascita.

È come se questa donna che si dà da fare tra le mie gambe, che introduce lo speculum, mi stesse facendo nascere. Ho ucciso mia madre in me in quel momento.

Annie torna nella sua stanza studentesca: ciò che segue è una deriva interiore, dove il dolore fisico si mescola alla solitudine più assoluta. Il corpo comincia a reagire, ci sono i resti dell’aborto di cui si deve disfare. E’ questo, in assoluto, il momento centrale, il più destabilizzante e brutale, l’apice di una tensione in crescita fin dalle prime pagine. La lettura è angosciante, permeata da un senso di affanno, pesantezza e impotenza che permangono anche dopo la conclusione del libro.

E infatti, sfogliata l’ultima pagina, è impossibile chiudere effettivamente il capitolo.
Quella di Ernaux non è una storia eroica, né lei si presenta come vittima. E’ un ritratto, un resoconto quasi scientifico delle soluzioni a cui si ricorre se la legge non tutela. L’aborto non è una favola, né un gioco. Ma talvolta è una necessità che non dovrebbe richiedere giustificazioni, suppliche o operazioni in appartamenti di periferia, al limite della fatalità.

Ernaux dà corpo e voce ad una vicenda umana impetuosa e lo fa con lucidità e in assenza di sentimentalismi, in una testimonianza di violenza, freddezza e, al tempo stesso, apatia sociale che si concretizza attraverso il controllo sui corpi delle donne. Lei, dal canto suo, non chiede perdono per la sua caparbietà, per la risolutezza con cui non dubita mai, nemmeno mentre pensa di star morendo, della strada che ha intrapreso.

Oggi so che avevo bisogno di quella prova e di quel sacrificio per desiderare di avere figli. Per accettare la violenza della riproduzione nel mio corpo e diventare a mia volta luogo di passaggio delle generazioni.

La speranza e, per certi versi, la certezza dell’autrice è di parlare ad un passato che proprio questo è: superato. Eppure, a distanza di oltre sessant’anni dai fatti raccontati, L’evento resta un libro tragicamente attuale e reale. Le questioni che solleva sono al centro del dibattito pubblico, delle battaglie per l’autodeterminazione corporea e, purtroppo, delle prime pagine di cronaca.

Il (ri)rovesciamento dell’ordine in occidente è segnato più emblematicamente dall’annullamento della sentenza Roe v. Wade nel 2022 negli Stati Uniti, sentenza che fino a quel momento aveva continuato ad assicurare la libertà decisionale individuale rispetto all’aborto, con garanzia a livello federale.
A seguire l’esempio statunitense, numerosi altri paesi hanno intrapreso la strada del conservatorismo, con una tendenza sempre più marcata ad attingere a discorsi religiosi per limitare le libertà individuali.
La Polonia ne è esempio, ambendo ad una sempre maggiore restrizione dell’accesso alla procedura.

Per quanto riguarda l’Italia, la presenza tuttora di medici obiettori di coscienza è sicuramente sintomo di arretratezza, seppure pare che a livello regionale qualcosa possa smuoversi. Nella stessa Francia di cui Ernaux parla, il diritto all’aborto è stato inserito solamente nel 2024 in Costituzione.

Le conseguenze di tutte queste decisioni ricadono, ovviamente, sulle donne. Negli Stati Uniti, in particolare, la decisione di delegare la questione dell’aborto alla discrezionalità di ogni stato, ha causato confusione, indecisione ed inattività da parte dei medici che, similmente a quanto accaduto ad Ernaux, cedono di agire per timore della legge. Non solo, ma gravidanze extrauterine, aborti spontanei non espulsi e il “volontario” atto di rivolgersi a cure ginecologiche per l’interruzione di gravidanza sembrano essere equiparate; se non davanti alla legge, di certo in ambulatori e ospedali. Sempre più donne, infatti, muoiono per aborti spontanei non trattati, ostacolate da una criminalizzazzione di questa emergenza medica. 

Nel 2023, Caitlin Bernard, ginecologa statunitense dello stato dell’Indiana è stata multata in seguito ad una sua dichiarazione, che rivelava la decisione di praticare una procedura abortiva su una bambina di 10 anni, rimasta incinta a causa di una violenza sessuale.
Il caso ha rapidamente attirato l’attenzione dei media, trasformandosi in un terreno di scontro politico. Bernard è stata duramente attaccata dal Partito Repubblicano, che ha condannato pubblicamente il suo operato, rendendola simbolo e bersaglio della battaglia contro l’aborto. Secondo AAMC News, oggi è una di soli due medici che ancora praticano l’aborto in Indiana: farlo è infatti illegale, tranne che in casi di abusi, incesto, o seri rischi per la salute. Tuttavia, la valutazione e l’applicazione di queste eccezioni sono spesso fallaci e hanno contribuito ad un crollo drammatico nel numero di professionisti attivi nella cura abortiva, rendendo sempre più esclusivo e limitato l’accesso alla procedura.

Troppe vicende allarmanti, troppi paesi che seguono la scia del regresso, troppi diritti negati rischiano di rendere l’evento di Ernaux, una quotidianità.

Il libro non è destinato a rimanere una memoria autobiografica, ma un fatto collettivo, una frattura evidente tra chi eravamo, chi siamo e chi rischiamo di tornare ad essere. Un documentario sulle potenzialità dirompenti di un mondo che ignora il dolore altrui e si fa legislatore di una vicenda umana complessa. E non solo della vicenda, ma del corpo, dell’agire, della vita stessa delle donne, che tanto ampia e libera merita di essere, quanto Ernaux avrebbe a sua volta meritato.

Per strapparmi dallo sprofondarsi delle immagini e cogliere quella realtà che – invisibile, astratta, assente nel ricordo – mi sbatteva in strada all’improbabile ricerca di un medico: la legge. Era dappertutto. Negli eufemismi e nelle litoti della mia agenda, […] nei cosiddetti matrimoni riparatori, […] nella vergogna di chi abortiva e nella disapprovazione degli altri. Nell’impossibilità assoluta di immaginare che un giorno le donne avrebbero potuto liberamente decidere di interrompere una gravidanza. E, come al solito, era impossibile determinare se l’aborto era proibito perché era un male o se era un male perché era proibito. Si giudicava in base alla legge, non si giudicava la legge.

Articolo a cura di
Adelina Sorobetea.

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