Secondo l’ad della Serie A Luigi De Siervo, lo streaming illegale sarebbe responsabile della crisi della Nazionale: «tutti soldi persi che non vengono investiti nei vivai»
Il 18 giugno in occasione degli Stati generali della lotta alla pirateria a Roma, l’amministratore delegato della Serie A Calcio Luigi De Siervo, ha rimarcato in maniera sentenziosa che i danni causati dai tanti pirati del web raggiungono la somma totale di 300 milioni di euro all’anno. Soldi che vengono a mancare alle casse dei detentori dei diritti televisivi, e di conseguenza dei club che partecipano al massimo campionato di calcio italiano. «Una squadra di vertice ha un danno ogni anno per 30 milioni» ha poi ribadito in un’altra intervista.
Ma al di là di questi numeri, che sottolineano quanto il sistema dello streaming illegale continui a serpeggiare tra le normative italiane, quello che ha alzato il polverone più grande è stato quanto da lui affermato successivamente. De Siervo ha evidenziato, infatti, che se la Nazionale riversa da ormai un decennio in una situazione critica (mancando la qualificazione al massimo torneo calcistico per ben due volte consecutive) è anche colpa dei tifosi che usufruiscono di servizi di streaming illegale attraverso siti pirati o grazie al famoso “pezzotto”. A generare ancora più clamore è stato il contesto in cui è stata pronunciata l’affermazione. Nell’occasione, infatti, la Nazionale era appena uscita dalla turbolenta successione di eventi che hanno visto la sconfitta contro la Norvegia, l’esonero di Spalletti alla vigilia del match contro la Moldavia e poi la vittoria contro questa con Spalletti ancora in panchina.
Tra chi condivide quanto affermato da De Siervo e chi invece ci ha riso su, considerando queste affermazioni un modo disperato per spostare la responsabilità della crisi sui tifosi, abbiamo deciso di fare un po’ di luce sulla questione, cercando di capire come funziona la legge riguardo la pirateria e quanto questo fenomeno possa effettivamente influire sull’andamento dei nostri Azzurri.

La legge “anti-pezzotto” e il piracy shield
Nel 2023 è stata promulgata l’ultima legge in materia, battezzata in maniera evocativa “Legge anti-pezzotto”. Con questa legge, è stato introdotto il piracy shield, la piattaforma messa a disposizione di Agcom (Autorità Garante delle Comunicazioni) come pilastro per la protezione del copyright di contenuti come film, serie TV e, soprattutto, sport. Lo “scudo” è un sistema automatizzato che consente solo ai legittimi detentori dei diritti — ad esempio Sky o DAZN, impegnata in questi giorni con la trasmissione in chiaro del Mondiale per Club — di segnalare i siti pirata. Una volta inviata la denuncia, nel giro di 30 minuti il sistema dovrebbe capire se si tratta effettivamente di una violazione e chiudere il sito. A supporto di questa, quanto mai giusta, linea della non-tolleranza, si aggiungono le multe per i violatori, che raggiungono i 15.000 euro per chi trasmette contenuti piratati e da 154 fino a 5.000 euro per chi ne fa uso.
La piattaforma in questione, però, non è esente da polemiche, e nel corso del tempo ha mostrato diversi limiti e malfunzionamenti. In primo luogo, un difetto dimostrato dal piracy shield è stato il fatto di aver oscurato siti che non avevano nulla a che vedere con lo streaming illegale, ma che semplicemente avevano ereditato indirizzi IP precedentemente bannati. O ancora il fatto per cui semplicemente tramite una VPN (proprio come quelle che sponsorizzano i tanti youtubers) tutto questo sistema viene bypassato, rendendo inutile il lavoro del piracy shield.
Pirateria in Italia: i dati del web e il bottino rubato dai vivai delle squadre
Tornando alla questione che sta alla base di questo articolo, il 18 giugno, sempre durante gli Stati generali della lotta alla pirateria, sono stati pubblicati i dati dello studio FAPAV/Ipsos 2024, che mostra in leggero calo il trend dell’uso di questi siti da parte degli italiani, seppur resti ancora grande il danno economico per l’industria televisiva e lo Stato italiano. Nel 2024, con un 38% della popolazione che ha usufruito almeno una volta di contenuti piratati, si stima un danno di 2,2 miliardi di euro per l’industria e di 904 milioni di PIL perso, con conseguenze che mettono a rischio fino a 12 mila posti di lavoro.
Ovviamente il maggior numero delle violazioni riguarda i contenuti calcistici. Questo comporterebbe, tornando al discorso dell’amministratore delegato della Serie A De Siervo, gravi perdite per le squadre italiane che si vedrebbero private del supporto economico necessario per investire a dovere nei settori giovanili. A tal proposito, dice lo stesso De Siervo: «tutti i soldi che ogni anno vengono persi non vengono investiti nei vivai e nella crescita dei nostri giovani, una grande problematica che ha portato la nostra Nazionale ad affrontare molte difficoltà»
Problemi nei settori giovanili: colpa della pirateria o della sedentarietà?
A questo punto un dubbio permane: siamo proprio sicuri che sia la pirateria la causa principale del fallimento dei settori giovanili e quindi della Nazionale? È probabile che sia una delle tante ragioni per cui fatichiamo a trovare giovani in crescita e con potenziale da schierare nelle formazioni titolari di Serie A e quindi validi per essere convocati tra gli Azzurri. Ma sullo sfondo potrebbero esserci altre ragioni radicate profondamente nel nostro tessuto sociale.
Il “Rapporto nazionale sui minori e lo sport” del 2021 realizzato dall’osservatorio “Conibambini”, mostra una tendenza dei più piccoli alla sedentarietà sempre in aumento a partire dal periodo post-pandemico. La carenza di strutture nel territorio e nelle scuole è una prima ragione che allontana i giovani dallo svolgimento di attività sportive. Una differenza territoriale che si inasprisce man mano che ci si avvicina verso il Meridione, con la Calabria e la Campania che registrano la percentuale più bassa di scuole fornite di strutture sportive (rispettivamente solo il 20,5% e il 26,1%, contro il Friuli Venezia Giulia con il 57,8%).
Altro fattore che questo rapporto ha messo in luce è quello economico, per cui alla base della scelta di non praticare alcuno sport, per il 20% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni c’è l’incapacità economica da parte della famiglia. Percentuale che sale al 30% se si parla dei bambini tra i 6 e i 10 anni. Per cui la continua mancanza di giovani atleti italiani potrebbe anche essere spiegata dalla situazione economica critica in cui riversano molti nuclei famigliari.
E i nostri “vicini” cosa fanno?
A questo punto non ci resta che guardarci intorno, per capire come gli altri Stati e soprattutto le altre Nazionali gestiscono l’integrazione dello sport nella vita dei giovani e la lotta alla pirateria.
Negli Stati Uniti, ad esempio, la cultura dello sport è fortemente integrata con l’istruzione. Nel paese a stelle e strisce le attività sportive extrascolastiche sono fortemente incentivate, con squadre di ogni disciplina presenti a partire dalle middle school fino ai livelli più alti dei college. Addirittura, gli eventi dei campionati di college come la NCAA raccolgono in certe occasioni più spettatori degli eventi professionistici. Allo studente viene insegnato che lo sport è parte integrante della quotidianità, e che studio e attività fisica possono andare a pari passo, senza rischiare, come capita spesso in Italia, di dover decidere se continuare la via – rischiosa da un punto di vista di prospettiva economica – dello sport o se proseguire su quella dello studio e del lavoro. Questo, oltre a dare l’opportunità a tanti giovani atleti statunitensi a raggiungere lo status di professionista, rende gli Stati Uniti una meta desiderata da molti studenti sportivi italiani che decidono di appoggiarsi ad agenzie che li aiutano a trovare un college dove poter completare gli studi e proseguire la carriera sportiva.
Per quanto riguarda come la pirateria viene trattata in altri Stati, se si osserva la Spagna (la cui Nazionale negli ultimi vent’anni ha collezionato tre Europei, un Mondiale e una Nations League) si notano dati che addirittura superano, seppur di poco, quelli italiani: il 40% dei cittadini fanno uso di siti pirata in Spagna contro il 38% in Italia. Per di più, nello stato iberico le misure prese sono molto simili a quelle del piracy shield italiano.
La pirateria è e resta un reato che danneggia non solo l’industria televisiva, ma anche il restante apparato organizzativo e sportivo. Rimane, però, di fatto qualche dubbio riguardo alla diretta connessione tra streaming illegale e crisi della Nazionale Azzurra, come sottolineato da Di Siervo. I dati italiani riguardo alla pirateria non sono tanto diversi da altri Paesi con Nazionali attualmente in buona forma, e forse per migliorare i vivai delle squadre sarebbe necessario intervenire sulle strutture sportive e scolastiche, offrendo più opportunità ai giovani e alle società, invece che dare la responsabilità ai tifosi.
Questo articolo non intende in alcun modo incentivare o pubblicizzare pratiche di pirateria né l’utilizzo di alcuna piattaforma di streaming illegale.
Immagine di copertina – Sky TG24
A cura di Michele Floris