Il cognome materno non basta: l’uguaglianza è un’altra cosa

3 Mag , 2025 - Attualità

Quando un cambiamento investe direttamente il modo in cui definiamo chi siamo, non può essere considerato solo un fatto burocratico.
È questo il senso più profondo della proposta avanzata a fine Marzo di quest’anno da Dario Franceschini, senatore del PD: consentire ai figli di portare solo il cognome materno, non più solo quello paterno come da tradizione. Una scelta che punta a correggere una diseguaglianza antica, radicata non solo nel diritto, ma anche nella cultura familiare italiana.

«Anziché creare infiniti problemi con la gestione dei doppi cognomi o con la scelta tra quello del padre e quello della madre, dopo secoli in cui i figli hanno preso il cognome del padre, stabiliamo che dalla nuova legge prenderanno il solo cognome della madre. È una cosa semplice e anche un risarcimento per un’ingiustizia secolare che ha avuto non solo un valore simbolico, ma è stata una delle fonti culturali e sociali delle disuguaglianze di genere».

Come si prende il cognome in Italia?
In Italia, la trasmissione del cognome ai figli è stata per decenni regolata da un automatismo semplice ma rivelatore: i neonati ricevevano esclusivamente il cognome del padre, secondo la norma sancita dal Codice Civile del 1942, espressione di una società fortemente patriarcale, in cui l’identità familiare era considerata una prerogativa maschile.

Tuttavia, a partire dagli anni Duemila, l’Italia ha iniziato a subire crescenti pressioni internazionali. Nel 2014, una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (caso “Cusan e Fazzo c. Italia“) ha condannato il nostro Paese per violazione del principio di non discriminazione, osservando che negare la possibilità di trasmettere il solo cognome materno ai figli rappresentava una disparità inaccettabile. Nel 2016, la Corte Costituzionale italiana è intervenuta, stabilendo che i genitori, se d’accordo, potevano attribuire anche il cognome della madre accanto a quello del padre. Ma l’automatismo a favore del cognome paterno è rimasto, mantenendo la disparità come norma implicita.

Un cambiamento più radicale è arrivato nel 2022, quando una nuova sentenza della Corte Costituzionale ha di fatto eliminato l’automatismo: oggi i genitori, all’atto di nascita, possono scegliere se dare al figlio il cognome paterno, quello materno o entrambi.
La Corte ha riconosciuto che l’attribuzione automatica del solo cognome paterno è incostituzionale, violando i principi di eguaglianza e tutela dell’identità personale sanciti dalla Carta.

Eppure, una legge organica che disciplini chiaramente il tema ancora non esiste. Dopo alcuni tentativi in Parlamento, il dibattito si è arenato. È bene ricordare che la questione non è nuova: risale addirittura al 1979, quando Maria Magnani Noya presentò la prima proposta di legge per il riconoscimento del cognome materno.

In questo scenario si inserisce la proposta avanzata da Dario Franceschini nel 2024, che mira a rendere automatico l’inserimento di entrambi i cognomi, salvo diversa volontà espressa dai genitori.
Un’idea ambiziosa, ma che sembra trovare ostacoli politici significativi: «Bisognerebbe trovare un punto di equilibrio che non renda nessun genitore invisibile» ha commentato la senatrice Giulia Bongiorno, presidente della Commissione Giustizia, evidenziando come il tema sia ancora lontano da una soluzione condivisa.

Cognome materno? Un bel gesto, ma l’Italia ha crisi più serie da affrontare

Perché parlare oggi di cognome materno? Perché dietro il gesto apparentemente semplice di trasmettere ai figli il solo cognome della madre si nasconde un cambiamento culturale importante. Riconoscere il cognome della madre come parte dell’identità dei figli significa dare il giusto valore al ruolo materno e affrontare una disuguaglianza storica, che per secoli ha visto solo il padre come portatore del nome di famiglia.


La proposta di Franceschini va proprio in questa direzione, con una scelta chiara: i figli dovrebbero portare automaticamente il cognome della madre, senza dover passare attraverso complicati meccanismi di doppio cognome o scelte formali.

Tuttavia, non mancano le critiche: se da un lato la proposta vuole riparare a un’ingiustizia storica, dall’altro alcuni osservano che, in un contesto di emergenze economiche e sociali, l’attenzione del legislatore dovrebbe concentrarsi su problemi più urgenti e concreti. Secondo questa visione, c’è il rischio che la riforma si traduca in un cambiamento più simbolico che realmente significativo nella vita quotidiana delle persone.

Siamo pronti a sfidare il primato del padre?

Il cognome non è solo un semplice dato anagrafico. Dare ai figli il cognome della madre significa riscrivere simbolicamente la genealogia, evitando che l’eredità femminile venga progressivamente dimenticata nel corso delle generazioni. Non si tratta di cancellare il passato, ma di correggerlo e arricchirlo: dare visibilità anche alla memoria materna significa ampliare, non impoverire, il patrimonio identitario di ogni individuo.

Come ogni cambiamento culturale significativo, anche la proposta di Franceschini ha scatenato un acceso dibattito. Se nel caso del doppio cognome le principali critiche riguardavano la complessità burocratica e la gestione di cognomi troppo lunghi, oggi c’è la preoccupazione che l’introduzione del solo cognome materno possa essere vista come una rottura troppo radicale rispetto alla tradizione.
Al di là delle questioni pratiche, il nodo vero resta culturale: siamo pronti ad accettare un modello familiare in cui il primato simbolico del padre non sia più scontato? Siamo disposti a rimettere in discussione un’abitudine tanto radicata da essere spesso data per naturale?

Il cambiamento culturale che può attendere

Per le nuove generazioni, che si affacciano oggi al mondo adulto, la proposta di attribuire il cognome materno risuona come un segnale di cambiamento e di riequilibrio.
Non si tratta di negare il passato, ma di farlo evolvere: costruire una società capace di guardare alle proprie radici con occhi nuovi, diventando più giusta, più consapevole e più libera.

Detto ciò, pur riconoscendo l’importanza culturale di dare il cognome materno ai figli, nutro il dubbio che questa riforma sia la vera priorità al giorno d’oggi. L’Italia sta affrontando crisi economiche, sociali e ambientali che richiedono interventi rapidi e strutturali. In questo contesto, concentrare le energie del Parlamento su una questione simbolica, per quanto significativa, potrebbe distogliere l’attenzione dai problemi più urgenti.

Va ricordato che già oggi è possibile, con il consenso dei genitori, attribuire anche il cognome materno, e che in alcuni casi – come il riconoscimento di un figlio solo da parte della madre – è già prassi consolidata. Oggi la proposta di Franceschini è ancora in fase di discussione parlamentare e non è stata trasformata in legge. Il dibattito continua, riflettendo le diverse sensibilità politiche e culturali presenti nel panorama italiano.

Nonostante l’assumere il cognome materno possa rappresentare un piccolo gesto che può segnare un’importante evoluzione culturale, non basta a colmare le disuguaglianze più profonde che ancora segnano la nostra società. Se davvero vogliamo una vera parità, dobbiamo puntare su cambiamenti strutturali, che affrontano le radici economiche e sociali della disparità di genere, piuttosto che fermarci a modifiche puramente simboliche.

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Aurora Forlivesi


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