Ci tocca suonare le campane a morto per il referendum – per l’ennesima volta. L’affluenza ai seggi è stata del 30,5% a livello nazionale, con Toscana ed Emilia-Romagna a segnare il primato positivo (rispettivamente 39,1% e 38,1%) e Trentino-Alto Adige e Sicilia a occupare le ultime due posizioni (22,7% per l’uno e 23,1 per l’altra).
Lo strumento del referendum mostra tutta la disaffezione politica che ormai serpeggia nel nostro Paese e, per quanto i disincentivi al voto della maggioranza siano raccapriccianti e condannabili, bisogna ricordare che negli ultimi trent’anni, su dieci referendum abrogativi, solo una volta si è raggiunto il quorum. Il problema quindi viene da lontano.
Per mutuare da Remarque: “niente di nuovo sul fronte occidentale”.
CHI TROPPO VUOLE NULLA STRINGE
L’obiettivo, comprensibile ma non dichiarato, del referendum era chiaro: dare una spallata alla maggioranza per incrinare un fronte che, come un tronco d’albero secco e marcescente, mostra sempre più frequentemente alcuni segni di cedimento.
Tuttavia, la saggezza popolare suggerisce che è meglio direzionare i propri sforzi su spazi di fronte ristretti.
Il referendum è uno strumento che sembra apparire anacronistico, pensato da gente di un mondo che non esiste più, quindi bisogna utilizzarlo con prudenza. Sovraccaricare cognitivamente gli elettori non è stata una mossa avveduta, anzi, ha disperso le forze più che concentrarle e ha sovrapposto piani che forse sarebbe stato meglio tenere distinti – in termini strategici si intende.
CI MERITIAMO UN’OPPOSIZIONE
La maggioranza ha dato prova della totale mancanza di senso delle istituzioni che caratterizza la destra populista che è ora al governo e la sinistra, di nuovo, non ha saputo opporre una narrazione convincente.
I triti e ritriti appelli al senso civico della popolazione non funzionano, perché la disillusione e il disinteresse prevalgono su qualsiasi senso del dovere – o di colpa – che si può provare a costruire nell’elettorato. Servono nuovi leader capaci di risvegliare passioni sopite tramite un messaggio inedito – non ci si può rifugiare in continuazione nella senilità di Veltroni, Prodi o Bersani. D’altra parte, però, Schlein è stata una cura peggiore del male che si proponeva di risolvere: doveva segnare la cifra progressista di un PD che forse appariva troppo democristiano, ma ha fallito nel suo compito. Troppo moderata, troppo impostata, poco caparbia e troppo confusa per rappresentare una vera minaccia all’inscalfibile faccia di bronzo di Giorgia-madre-cristiana-italiana.
Il problema – ahinoi – è ormai endemico. Cercare consenso tramite un referendum, con la chiara (se non dovesse essere chiara sarebbe preoccupante) consapevolezza della fragilità del sostegno popolare è quantomeno pretenzioso; sarebbe come voler costruire un ponte su un tratto di mare di 3km in una zona ad alta densità sismica.
La sinistra disponeva di un’occasione importante per riportare al centro del dibattito il tema del lavoro, che interessa la popolazione trasversalmente e non è inquinato da alcun posizionamento politico. I dati sottolineano che il precariato, sotto il governo Meloni, è aumentato, così come il ricorso alla cassa integrazione.
Di nuovo, la sinistra non è riuscita a dare dimostrazione a sé stessa e al paese di poter controbilanciare la spregiudicatezza comunicativa della destra.
E quindi cosa rimane?
Forse sarebbe stato meglio andare al mare.
A cura di
Michele Loli

23 anni e già mi sento vecchio.