Come sappiamo, i prossimi 8 e 9 giugno si terranno dei referendum abrogativi su 5 quesiti.
Il 19 marzo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale un decreto legge che prevede (all’articolo 2) la possibilità – in via sperimentale – di votare in un comune diverso da quello di residenza per i cittadini cosiddetti “fuori sede”. Questa categoria include tutte quelle persone che vivono (e quindi sono domiciliate) in una provincia diversa da quella di residenza – per motivi non solo di studio, ma anche di lavoro o cure mediche – per un periodo di almeno tre mesi nel quale ricade la data delle consultazioni referendarie.
Questa è una notizia che ci sta abbastanza a cuore, dato che molti di noi studiano a Bologna da fuori sede. Chi di voi si trova in questa situazione, e non potrà tornare al comune di residenza per i referendum, potrà quindi votare nel comune di domicilio temporaneo.
Una piccola guida
Andiamo a vedere nello specifico quali sono le modalità e le scadenze per l’ammissione al voto fuori sede:
- Gli interessati devono presentare la domanda al comune di domicilio temporaneo, usando il modello disponibile sul sito del Ministero dell’Interno;
- La domanda può essere presentata personalmente dall’interessato, oppure da un’altra persona delegata o anche in via telematica;
- Alla domanda bisogna allegare questi documenti:
- La copia di un documento di riconoscimento valido
- La copia della tessera elettorale
- La copia della documentazione che attesta la condizione di elettore fuori sede (quindi le motivazioni di studio, lavoro o cura per cui si vive temporaneamente in un comune diverso da quello di residenza)
- La scadenza per la presentazione della domanda è il prossimo 4 maggio, mentre si ha tempo fino al 14 maggio per revocarla.
Ma come si fa concretamente a esercitare il voto fuori sede?
Il Comune a cui si è fatta richiesta dovrà rilasciare – entro 5 giorni prima dalla data del referendum – un’attestazione che consente di votare, contenente anche l’indicazione del numero e dell’indirizzo della sezione dove bisogna recarsi. I comuni, infatti, istituiranno delle sezioni elettorali speciali per il voto fuori sede (nella domanda che si presenta al comune di domicilio, tra l’altro, si può anche manifestare la disponibilità a essere nominato presidente o componente di una di queste sezioni speciali).
Basterà quindi recarsi alla sezione elettorale indicata, portando con sé (mi raccomando) l’attestazione di cui sopra in copia cartacea (no, non va bene in digitale), un documento di identità valido e la tessera elettorale (quindi ricordatevi di prendere la tessera se tornate a casa prima del voto, e se non riuscite fatevela spedire).
Per chi è fuori sede a Bologna, in ogni caso, qui trovate tutte le indicazioni del comune.
L’importanza del voto fuori sede
E’ importante mettere in evidenza che in Italia non esiste alcuna previsione di carattere generale che consenta di votare nel luogo di domicilio. Il decreto legge del 19 marzo, infatti, ha previsto le modalità di voto di cui sopra soltanto in via sperimentale.
Non è la prima volta che questo accade: anche per le scorse elezioni europee erano state previste in via sperimentale delle modalità per votare nel comune di domicilio temporaneo (ma pur sempre votando per le liste e i candidati della propria circoscrizione territoriale di origine). Tuttavia, il governo aveva inizialmente deciso che questa sperimentazione non avrebbe avuto seguito, in quanto non ritenuta sufficientemente partecipata. Per molti è stata una sorpresa, dunque, apprendere che il governo avesse deciso di consentire il voto fuori sede anche per questi referendum.
Si stima che in Italia il numero di fuori sede, tenendo conto sia di studenti che di lavoratori, si aggiri intorno ai 5 milioni (pari al 10% circa dell’elettorato). Ma siamo anche uno dei pochi Paesi europei a non avere una normativa che preveda soluzioni per votare in un comune diverso da quello di residenza; o meglio, gli italiani che vivono all’estero possono votare per corrispondenza, ma questa modalità non è consentita per chi vive in un altro comune italiano. Allo stesso tempo, sappiamo che per molti fuori sede tornare a casa comporta costi ingenti (non fatemi iniziare a parlare della continuità territoriale). E sappiamo anche che molti italiani cambiano residenza solo dopo anni che abitano in un comune diverso da quello di origine, se non addirittura mai: si tratta di una procedura piuttosto complessa, e a volte i costi sono maggiori dei benefici.
Secondo i dati dell’istituto Cattaneo, oltre il 31% dei fuori sede rinuncia a votare per motivi economici. E’ evidente come questo impatti negativamente sulla rappresentatività dei risultati elettorali. Ciò è emerso anche in occasione delle scorse elezioni europee, dove le forze di governo hanno ottenuto solo il 6,23% delle preferenze tra gli elettori fuori sede. Facendo tutti i distinguo necessari, viene da chiedersi come sarebbero cambiati i risultati delle elezioni politiche del 2022 se gli universitari fuori sede (che sono, notoriamente, una categoria con idee politiche piuttosto progressiste) avessero potuto votare nel comune di domicilio, senza doversi spostare per tornare a casa.
In un contesto dove il tasso di astensionismo è sempre più elevato, è un peccato che tante persone che vorrebbero votare si ritrovino impossibilitate a farlo per motivazioni che non dipendono da loro.
Tenendo conto di tutti questi aspetti, si capisce perché il voto fuori sede sia stato un tema al centro del dibattito pubblico negli ultimi anni, portando a mettere in evidenza la necessità di una normativa che risolva questo problema una volta per tutte; e non solo in maniera eccezionale, in prossimità delle elezioni, secondo l’umore del governo di quel dato momento.
In considerazione di tutti questi elementi, mi sembra particolarmente importante sfruttare l’opportunità che ci viene data – che dovrebbe essere qualcosa di scontato, ma che evidentemente non lo è – di esercitare il nostro diritto al voto senza dover badare ai prezzi dei treni, degli aerei e delle navi, e senza doverci organizzare la sessione in base alle date scelte per la consultazione referendaria.
A questo aggiungerei che non si tratta di una consultazione elettorale qualunque – bensì, appunto, di un referendum. I referendum – e nello specifico quelli abrogativi – non solo sono mediamente meno partecipati delle elezioni, ma prevedono un quorum necessario ai fini della validità del voto: è necessario che si rechino a votare la metà più uno degli aventi diritto.
Per tutte queste ragioni, mi sembra fondamentale andare a votare l’8 e il 9 giugno – e abbiamo ancora una settimana di tempo, se ancora non l’abbiamo fatto, a fare domanda per l’ammissione al voto da fuori sede.
A cura di
Valentina Melis
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