ReArm Europe è il tema caldo del momento. Tra detrattori e sostenitori non si capisce più nulla; mettiamo ordine

GALEOTTO FU DONALD
Il 5 marzo 2025 Ursula von der Leyen ha comunicato ufficialmente il piano ReArm Europe, approvato il 12 marzo dal Parlamento Europeo con 419 voti a favore. Il piano di riarmo si configura come la risposta europea alla crisi del rapporto militare con gli Stati Uniti, ma, nonostante i buoni propositi e la quantità di fondi messi a disposizione, nasconde numerose insidie e – forse – una debolezza strutturale.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha colto un po’ tutti alla sprovvista, principalmente perché abbiamo la memoria corta e ci eravamo dimenticati che la guerra, in quei territori, infuriasse già da otto anni. Nei tre anni passati la guerra in Ucraina si è trasformata da un conflitto lampo a una guerra d’attrito, ovvero uno scontro in cui l’obiettivo è costringere l’avversario a concentrare in uno spazio il maggior numero di uomini e mezzi per annientarli sistematicamente.
Dal 6 gennaio di quest’anno le cose si sono fatte ben più spaventose anche per quei paesi europei che sono lontani dal confine russo. Donald Trump, dalla Casa Bianca, ha cominciato a tuonare minaccioso e a far traballare la già precaria struttura della Nato.
Inoltre, per rendere il quadro più completo, è necessario sottolineare che, secondo l’Osservatorio dei conti pubblici italiani, l’Europa spenda già il 18% in più della Russia nel settore della difesa. Il problema, quindi, non risiede tanto nel costruire uno scudo contro la Russia, quanto piuttosto nello sviluppare un’autonomia bellica di cui l’Europa, forte dell’ombrello Nato, ha raramente avvertito il bisogno. La linea anti-atlantica di Trump ha sorpreso molti osservatori, perché – in fondo – nessuno si aspettava che questa amministrazione sarebbe stata così radicalmente imprevedibile, antipolitica e populista, di conseguenza il progetto ReArm Europe di von der Leyen, allestito in fretta e furia tra le voci di chi urla alla guerra e di chi alla pace, risulta quantomeno da perfezionare.
ISTRUZIONI PER L’USO
L’urgenza primaria a cui risponde il ReArm Europe è rendere l’Unione Europea indipendente dal mercato bellico statunitense, privilegiando i produttori nazionali e finanziando lo sviluppo di tecnologie militari di creazione europea.
Per raggiungere questo obiettivo, sono stati identificati alcuni strumenti fondamentali.
- Tetto massimo di 650 miliardi di euro di investimenti complessivi per Stato per un periodo di quattro anni.
- Clausola di salvaguardia per consentire ai paesi membri di indebitarsi per le spese militari senza incorrere in sanzioni conseguenti alla violazione del Patto di stabilità e crescita. In altre parole: finché si spende per la difesa si può ignorare il bilancio, a patto di non superare la cifra di 650 miliardi nel prossimo quadriennio.
- Creazione di un fondo da 150 miliardi da cui gli Stati potranno ottenere prestiti per finanziare le spese militari. Per creare il fondo l’Unione potrebbe usare i poco meno di 100 miliardi che non sono stati richiesti dai paesi membri per il PNRR e che quindi sono rimasti inutilizzati. In alternativa, è stata anche ventilata la possibilità che venga usata parte dei 500 miliardi di euro del Meccanismo di stabilità, il fondo con cui l’Unione sostiene i paesi membri in difficoltà finanziaria.
- Incentivi all’industria della difesa con l’obiettivo di stimolare la produzione interna europea e ridurre la dipendenza da importazioni extraeuropee.
- Cooperazione tecnologica avanzata, implementando quindi progetti congiunti di difesa che sfruttino le più avanzate tecnologie disponibili in campo di intelligenza artificiale e big data.
- Investimenti strategici a lungo termine per consolidare l’autonomia strategica europea.
Il meccanismo alla base di questo processo sarebbe quindi quello di contrazione di debito da parte degli stati membri verso l’Unione.
Tuttavia, questa modalità crea non poche perplessità da parte degli Stati membri. Da un lato, infatti, sette dei ventisette Stati membri dell’Unione – e tra questi la Germania – si finanziano a un tasso di interesse migliore di quello a cui attualmente la Commissione emette debito, in altre parole: danno ai mercati finanziari più forti garanzie di solidità di bilancio di quanti non ne dia l’Unione Europea nel suo complesso, e dunque non avrebbero particolare interesse a utilizzare lo strumento proposto disposto dall’Unione. Dall’altro lato, tra i paesi finanziariamente meno solidi, che dunque trarrebbero vantaggio dai prestiti offerti, ce ne sono alcuni (come l’Italia) già fortemente indebitati, che avrebbero quindi non poche difficoltà ad accumulare ulteriore debito.

SI CHIUDE UNA PORTA SI APRE UN PORTONE
Nonostante i debiti di cui sopra, per l’Italia il piano di riarmo europeo apre diverse opportunità.
Il cuore tecnologico del piano ReArm Europe coinvolge numerose tecnologie emergenti in cui l’Italia appare un attore di primo piano grazie a industrie come Leonardo e Fincantieri. Inoltre, l’Italia gode di una posizione geografica strategicamente vantaggiosa fin dai tempi dell’Impero Romano. Il Bel Paese, posto nel cuore del Mediterraneo, grazie a ReArm Europe potrebbe consolidare il proprio ruolo di centro logistico e operativo del reticolo geopolitico dell’Europa meridionale.
Pari passo con questo ruolo strategico per l’Italia potrebbero generarsi anche benefici diplomatici all’interno dell’Unione Europea.
HO UN DUBBIO
L’arte bellica suggerisce di studiare la strategia e successivamente dotarsi delle armi necessarie. Purtroppo – o per fortuna – l’Unione Europea non ha una strategia militare condivisa e apparentemente nemmeno una linea di politica estera, dunque il rischio verso cui si incorre è di accumulare grandi quantità di armi – ognun per sé – senza un progetto coordinato e sinergico che muova un passo verso la costruzione del tanto chiacchierato esercito europeo.
Il totale disallineamento dei leader europei si è spesso tradotto in una serie di dichiarazioni sgangherate e poco chiare, tra chi proponeva (forse in un momento di scarsa lucidità) di inviare i propri soldati in Ucraina e chi, per paura di perdere terreno nei sondaggi, non sapeva andare oltre agli appelli di pace e alla condanna dell’invasione russa.
Per completare il piano ReArm Europe mancano, inoltre, numerosi dettagli a partire dalla regolamentazione del principio “Buy European”, che mira a privilegiare acquisti da aziende europee, con l’obiettivo di interrompere definitivamente la dipendenza dagli Stati Uniti. Anche su questo tema sorgono numerosi scontri: la Francia insiste affinché questo vincolo europeo sia molto stretto; mentre la Germania, e in parte l’Italia, ritengono invece che questo principio rallenterebbe ulteriormente i nuovi investimenti. In questo caso, probabilmente, bisognerà andare alla ricerca di un compromesso che permetta di ridurre progressivamente gli acquisti dal mercato statunitense.
FACCIAMO CHIAREZZA
Nel panorama italiano diversi opinionisti sostengono che il piano di riarmo abbia come obiettivo primario la costruzione di un esercito da schierare tempestivamente contro la Russia.
Tuttavia, se vogliamo intendere la Russia come un avversario militare, la costituzione di un arsenale convenzionale risulta un’azione necessaria ma non sufficiente. Infatti, la sproporzione numerica di testate nucleari a disposizione del Cremlino e degli Stati europei non sarà sfuggita nemmeno al più miope funzionario russo. Per cui, armarsi serve (a meno che non vogliamo, da anime belle, credere che la guerra non appartenga più a questa parte di mondo), ma non basta. Alla luce di quanto detto sopra appare chiaro che il progetto ReArm Europe serva, prima di tutto, ad emanciparsi dall’egemonia bellica statunitense.
Se da una parte non dobbiamo convincerci che possedere armi non serva più, dall’altra non possiamo nemmeno farci divorare dalla psicosi che il conflitto sia irrimediabilmente vicino. Doveroso è ricordare che dopo la caduta del muro di Berlino la spesa in difesa sia calata drasticamente fino al 2014, quando, a seguito all’annessione illegale della Crimea da parte della Russia, i paesi NATO, su spinta statunitense, si impegnarono a portare la loro spesa in difesa almeno al 2 per cento del PIL in tempi brevi.
D’altro canto, Adam Tooze, uno dei più autorevoli storici dell’economia a livello mondiale, ha mostrato come i numeri odierni siano notevolmente lontani dai livelli di spesa militare che caratterizzarono le due guerre mondiali, quando i paesi destinavano ai cannoni tra il 20 e il 50 per cento del PIL.
QUINDI…
Per l’Europa questi sono gli anni più difficili della propria storia, la più forte prova di maturità dalla sua nascita. ReArm Europe dimostra che l’Europa vuole agire e sfruttare la finestra di opportunità che si apre a causa del progressivo ritiro americano da numerosi teatri globali, ma la strada da percorrere è ancora lunga e il tempo – come sempre – tiranno.
Abbiamo la possibilità di andare a occupare il vuoto che verrà lasciato dall’assenza degli statunitensi. Dobbiamo essere pronti, reattivi e decisi per dimostrare e confermare la forza e la compattezza dell’Unione in un momento in cui, come nel turno decisivo di una partita di Risiko, lo scacchiere mondiale viene ridisegnato.
Michele Loli

23 anni e già mi sento vecchio.
[…] Proprio nella giornata del 19 marzo la Camera doveva esprimersi sulla risoluzione contenente l’orientamento del governo circa i temi all’ordine del giorno del Consiglio Europeo, il cui fulcro erano la questione del sostegno all’Ucraina e il piano di riarmo. […]